Era il 1910, e quella che è probabilmente ritenuta la più grande scienziata di tutti i tempi, Marie Curie, fu coinvolta in uno scandalo mediatico: quattro anni dopo la morte del marito aveva smesso di portare il lutto, e si era innamorata di nuovo, per giunta di un uomo sposato.
“Una storia d’amore: Madame Curie e il professor Langevin”, titolava Le Journal, quotidiano francese. I media descrivevano come scandaloso l’abito bianco con un fiore rosso con cui si era recata a una cena, e dipingevano la scienziata premio Nobel come una donna straniera, seduttrice e rovina famiglie.

Nel 1911, Marie Curie vinse il suo secondo Nobel ma le consigliarono
di non presentarsi a Stoccolma, per evitare scandali.
“Il premio mi è stato assegnato per la scoperta del radio e del polonio e credo non vi sia alcun rapporto tra la mia opera scientifica e le vicende della mia vita privata. In linea di principio non posso ammettere che le calunnie e le maldicenze della stampa influenzino l’apprezzamento accordato al mio lavoro scientifico”, si dice abbia affermato.
Da questo episodio è passato più di un secolo: proprio oggi (4 luglio) si festeggiano i 90 anni dalla morte di Marie Curie. Eppure i media non sembrano aver fatto un grosso passo avanti da allora. I giornali sono ancora un luogo in cui il sessismo nei confronti delle scienziate spesso non viene risparmiato. “Mamma e nuotatrice”, chiamavano, per esempio Andrea Ghez, vincitrice del premio Nobel per la fisica 2020.
Ma non sempre il sessismo è evidente: spesso, anche inconsciamente, i media veicolano stereotipi di genere dannosi per le donne nella scienza, scegliendo l’uso di determinate parole piuttosto che di altre, e di un linguaggio diverso per parlare di scienziati e di scienziate. Ma in una società in cui ancora non c’è la parità di genere in ambito scientifico, in cui ancora fenomeni come la segregazione orizzontale e verticale, e il “soffitto di cristallo” rendono più difficoltosa la carriera scientifica per le donne piuttosto che per gli uomini, i media dovrebbero stare attenti alla veicolazione di una narrazione paritaria delle scienziate e degli scienziati, anche e soprattutto quelli scientifici.
Nel 2020 ho scritto una tesi su questo. Qui potete recuperarne una parte.
