L’ambiente accademico è caratterizzato da un forte squilibrio di potere e questo lo rende un terreno fertile per le molestie. Anche questa è violenza contro le donne
“Anni fa un docente di un noto istituto italiano universitario (che insegnava in un master che stavo seguendo) ha provato il trucchetto: se vieni a cena con me c’è la possibilità che io ti offra un posto di PhD. Ho rifiutato, e dal giorno dopo ha ignorato la mia esistenza, trattandomi come un fantasma”.
“Io ho deciso di non proseguire con il dottorato dopo un tirocinio di nove mesi perché ho incontrato un ambiente fortemente sessista. I tutor (maschi) che seguivano me e altre tesiste (femmine) ci dicevano in faccia che facevano a gare a chi aveva la tesista più fregna, per dirne una. E stiamo parlando di dottorandi e post-doc in un ateneo che vanta di essere tra i più prestigiosi in Italia”.
“Il professore di programmazione ti faceva sedere a fianco a lui per commentare il programma e commentava aspetto fisico e vestiario. A me toccò gli orecchini, ma ho sentito altre ragazze a cui è andata peggio, ha toccato proprio loro parti del corpo durante l’esame (ad esempio le gambe)”.
Queste sono solo alcune delle esperienze che studentesse e ricercatrici mi hanno raccontato su Instagram, quando, mentre parlavamo di dottorato, è uscito fuori che quasi tutte le ragazze della community erano state, un un modo o in un altro, molestate o fortemente svantaggiate a causa del loro genere durante il percorso di studi accademico (qui potete trovare tutte le testimonianze e la discussione per intero). Questa realtà, che raramente viene raccontata, ha delle ripercussioni enormi sulla carriera delle studentesse, ed è sicuramente una delle cause del così detto “soffitto i cristallo”.
Il soffitto di cristallo
Il soffitto di cristallo è un fenomeno per il quale le donne non riescono a proseguire nella carriera accademica perché a un certo punto incontrano una barriera “invisibile” che impedisce loro la scalata. Dopo il dottorato, infatti, la presenza femminile nelle università cala vertiginosamente (come si può vedere dal grafico sotto).

Ma nessuna legge impedisce alle donne di assumere ruoli di potere, e nessun regolamento impedisce loro di continuare con la carriera accademica dopo il dottorato. Sì, perché il soffitto è trasparente per un motivo: non si vede, e la sua esistenza è in apparenza inspiegabile. Non sarà mica che alle donne non piace comandare? O magari sono più a loro agio in casa, a pensare alla famiglia e prendersi cura della prole? Tanto sono naturalmente più propense al lavoro di cura, no?
Ecco, questa barriera invisibile ha motivazioni invisibili. Una di queste è la violenza di genere che le donne devono sopportare anche in ambiente universitario, violenza che diventa sempre più grave al progredire della carriera accademica. Violenza che non viene mai denunciata perché a compierla sono professori, mentori, supervisor che potrebbero rovinare anche per sempre la carriera di una studentessa. Violenza che rimane, quindi silenziosa, perché anche chi la subisce e si rende conto di subirla, fa fatica a nominarla. Violenza che, però, diventa visibile quando scoraggia le donne a proseguire nella carriera in un ambiente a loro ostile.
“Il mio professore di fisica del primo anno di università mi chiamava sempre alla lavagna a fare gli esercizi perché “sei l’unica bionda della classe e se ci riesci tu, ci riescono tutti“”.
Lo squilibrio di potere
Secondo un articolo di qualche anno fa pubblicato su The Atlantic, dottorande e ricercatrici sono particolarmente vulnerabili alle violenze perché il loro futuro dipende interamente dalle buone raccomandazioni dei professori, e le studentesse STEM (Science, Technology, Engeneering and Math) sono più vulnerabili delle altre, perché, essendo l’ambiente più maschile, si presta ancora di più a dinamiche da squilibrio di potere.
“Un fattore che determina se le molestie sessuali si verificano in un dato ambiente è il potere, in particolare se ci sono grandi differenze di potere tra le persone in quel contesto. Secondo il National Academies’ 2018 report, se le persone più in basso nella gerarchia dipendono fortemente da quelle ai livelli più alti, il rischio di molestie sessuali aumenta. E queste differenze di potere possono rendere le università favorevoli a “reti di complicità e compiacenza” che consentono le molestie”, spiega Sara Frueh su The National Academy of Science Engeneering Medicine.

“Ingegneria meccanica, primo anno, primo esame: fisica 1. Il professore controlla i libretti e nel mio c’erano le fototessere che avevo dato in segreteria per l’immatricolazione. Il prof le vede, le prende, fa una faccia di apprezzamento con tanto di movimento della mano e mi dice: “beh, ma è sicura di voler fare ingegneria? Se mi lascia le sue foto le do a certe mie conoscenze e la sistemo senza bisogno della laurea“. Non mi sono mai sentita così umiliata”.
Anche questa è violenza contro le donne
Violenza contro le donne non è solo un calcio, un pugno, uno stupro o un femminicidio. Violenza contro le donne è anche non vedere che la violenza fisica (e psicologica e sessuale) è solo la unta di un di un gigantesco problema che la società ha con il femminile.
Violenza contro le donne è credere che non servano le quote di genere. Violenza contro le donne è ritenere che una donna sia meno autorevole di un uomo. Violenza contro le donne è pensare che le donne siano troppo emotive per compiere un certo lavoro. Violenza contro le donne è non assumere una donna perché potrebbe rimanere incinta. Violenza contro le donne è che gli assorbenti siano tassati come bene di lusso. Violenza contro le donne è non scrivere rettrice, avvocata, ingegnera, architetta. Violenza contro le donne è non includerle come tester negli esperimenti scientifici perché hanno il ciclo mestruale. Violenza contro le donne è pensare che una donna possa essere o una professionista oppure una mamma.
Violenza contro le donne è lasciare che il soffitto di cristallo ci limiti, e non vederlo. Soprattutto non vederlo, quello sforzo immane che noi dobbiamo compiere ogni giorno solo per essere viste “quasi” come un uomo (che invece non si sforza affatto).