È vero che le donne non sono adatte alle materie scientifiche?

Qual è la situazione attuale delle donne nella scienza? Quali sono gli stereotipi di genere che rendono più difficoltoso l’accesso alla scienza per le donne? Perché sono dannosi anche per l’innovazione scientifica? Ho risposto a queste domande in un video per Microscope me up

Ecco il testo del video che ho scritto per Microscope me up:

“Le donne sono romantiche, sognatrici, più adatte alle arti che a materie fredde e oggettive come le scienze“.

Molte e molti di voi penseranno: “sì, okay, ma dai, questo è uno stereotipo ormai superato”! Ma lasciate che io vi dia qualche dato.

Situazione attuale delle scienziate

Secondo Almalaurea, nel 2019, il 26,5% delle persone iscritte ai corsi di ingegneria erano donne, ed erano donne solo il 29,7% delle persone iscritte a facoltà scientifiche. Secondo il Miur (Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca italiano) il 44% delle persone che nel 2017 hanno richiesto di fare un dottorato erano donne, il 41% di coloro che hanno ottenuto un dottorato erano donne, ed erano donne il 43% dei ricercatori universitari, il 34% dei professori associati, e il 19% dei professori ordinari.

Fonte: http://ustat.miur.it/media/1155/focus-carriere-femminili-universit%C3%A0.pdf

Questi dati evidenziano tre fenomeni: la segregazione formativa orizzontale, ovvero una sottorappresentazione delle donne negli ambienti scientifici. La segregazione formativa verticale, ovvero la scarsissima presenza femminile ai vertici della carriera accademica. E il così detto “soffitto di cristallo”, ovvero la barriera invisibile che impedisce alle donne di accedere a posizioni apicali.

“Invisibile” perché la parità formale c’è. Nessuna regola scritta vieta alle donne di diventare professoresse universitarie o di iscriversi alle facoltà scientifiche. Ma allora perché non lo fanno? Sarà vero che per natura le donne sono più predisposte alle arti, magari?

Perché le donne non si iscrivono a facoltà scientifiche

No, le radici di questi fenomeni sono invece culturali. Possiamo tranquillamente dire che derivano dall’ordine di genere patriarcale su cui si fonda la nostra società. Infatti, anche se donne e uomini possono volendo iscriversi a qualsiasi facoltà universitaria, non è sempre stato così. Anzi, non era così fino a praticamente l’altro ieri storico.

All’inizio del XX secolo ancora in molti Paesi europei alle donne era impedito l’accesso alle università e ai licei, e le bambine erano preparate a una vita all’insegna del lavoro domestico. Le predisposizioni artistiche e letterarie probabilmente escono fuori più facilmente anche senza bisogno di una formazione specifica, mentre invece quelle per le “scienze dure” necessitano di una formazione accademica, che alle ragazze era preclusa. Nonostante questo, nei secoli, ci sono stati esempi di donne che hanno intrapreso una carriera scientifica, ma sono state invisibilizzate, nascoste dietro pseudonimi maschili o dietro il nome del padre, del marito o del tutore. Non stupisce, quindi, che la memoria storica abbia cancellato molte donne nella scienza.

Photo by RF._.studio on Pexels.com

Quando le università hanno aperto le porte anche alle ragazze, queste, non vedendosi rappresentate all’interno del mondo scientifico, spinte esse stesse dal pregiudizio hanno continuato a iscriversi a facoltà letterarie perpetuando lo stereotipo. È come una profezia che si auto-avvera: gli stereotipi di genere minano l’autostima delle ragazze per quanto riguarda la loro bravura nelle discipline scientifiche, facendole desistere dall’iscriversi a discipline STEM (acronimo per “Science, Technology, Engineering and Mathematics”).

Perché la scarsa presenza femminile negli ambienti scientifici è un problema

A questo punto molte persone di solito rispondono: “vabbè ma qual è il problema? Se le donne scelgono liberamente, okay così”.

In realtà, è difficile parlare di scelta “libera” quando fin da piccole ci viene detto implicitamente ed esplicitamente che noi a fare quella cosa lì non siamo adatte. E questo è un peccato perché a perderci sono sì le donne, ma è anche la scienza stessa, la società stessa.

Le donne ci perdono non solo perché spesso i lavori in ambito scientifico sono i più pagati, quindi possono essere uno strumento di emancipazione femminile, ma anche perché contribuiscono di meno alla costruzione del sapere scientifico e quindi spesso la ricerca non si occupa dei problemi femminili. Mi viene in mente, ad esempio, il fatto che le donne hanno più probabilità di morire d’infarto perché i sintomi dell’infarto sono stati studiati solo su soggetti maschili, da uomini (leggete “Invisibili” di Caroline Criado-Perez).

Ma a perderci è anche la scienza stessa, e quindi tutta la società che beneficia del sapere scientifico. Perché il pluralismo di approcci e di visioni garantisce anche una migliore ricerca scientifica, e la visione femminile non è importante solo perché femminile, ma importante anche perché è quello di persone discriminate, che quindi guardano il mondo da un piedistallo in meno e possono dare una visione altra e più ampia della realtà, così come anche le persone nere, non eterosessuali, non cisgender, ecc.

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