L'”Effetto Matilda” è un concetto che descrive la sottovalutazione sistemica del contributo delle donne nella scienza. Questa locuzione è stata inventata nel 1993 dalla storica della scienza statunitense Margaret W. Rossiter in uno scritto intitolato “The Matthew Matilda Effect in Science“. In questo paper, la studiosa teorizzò per la prima volta come, nella storia della scienza, molte donne siano state private del riconoscimento per le loro scoperte, mentre il merito veniva attribuito a colleghi uomini. Rossiter scelse il nome “Matilda” in onore di Matilda Joslyn Gage, suffragista del XIX secolo che denunciò apertamente la discriminazione intellettuale subita dalle donne.

L’Effetto Matteo nella scienza
L’Effetto Matilda è un’estensione del “Matthew Effect” nella scienza, teorizzato nel 1967 dal famoso sociologo Robert K. Merton. Egli sosteneva che i ricercatori già affermati ricevessero progressivamente sempre più riconoscimenti da parte del sistema accademico, mentre i ricercatori meno noti continuavano a essere ignorati.
L’effetto deve il nome “Matteo” al versetto del Vangelo secondo Matteo:
“A chi ha, sarà dato, e gli sarà dato in abbondanza; a chi non ha, sarà tolto anche ciò che ha” (13, 12).
Pur sapendo che il sistema penalizzava le persone marginalizzate, Merton non lo metteva in discussione. Anzi, nel suo paper lo descriveva come un meccanismo “funzionale“, suggerendo che anche gli scienziati meno noti potessero sfruttarlo condividendo le proprie idee con colleghi più famosi, che le avrebbero poi pubblicate a loro nome, con o senza attribuzione del merito.

Oltre l’Effetto Matteo
Rossiter, invece, nel suo paper del 1993, critica le idee di Merton, sostenendo che “sfruttare il sistema esistente anziché cercare di cambiarlo può solo aumentare i problemi di autostima di postdoc e altri ricercatori i cui risultati vengono spesso assorbiti dalla reputazione del loro capo gruppo“.
L’esclusione delle donne nella scienza
Ella sostiene inoltre che, nella storia, le persone che più di tutte sono state penalizzate dall’Effetto Matteo siano le donne. A riprova di ciò cita un gran numero di esempi, tra cui:
- Lise Meitner: co-scopritrice della fissione nucleare, esclusa dal Nobel che andò a Otto Hahn.
- Rosalind Franklin: il suo lavoro sulla struttura del DNA fu essenziale per Watson e Crick, ma il Nobel lo vinsero loro.
- Nettie Stevens: identificò il ruolo del cromosoma Y nella determinazione del sesso, ma il merito andò a Edmund Wilson.
- Jocelyn Bell Burnell: scoprì le pulsar, ma il Nobel fu assegnato al suo supervisore.

Il caso particolare del matrimonio
Nei suoi esempi, Rossiter pone luce su un altro aspetto cruciale sulla storia delle donne nella scienza e della loro esclusione: la differenza tra scienziate sposate e scienziate non sposate.
Le donne single erano autonome, ma isolate e prive di sostegno accademico, il che le rendeva invisibili nei riconoscimenti ufficiali. Un esempio è Agnes Pockels (1862-1935), che scoprì proprietà fondamentali della tensione superficiale dei liquidi, ma non avendo accesso ai laboratori accademici, inviò i suoi risultati a Lord Rayleigh. Fu lui a pubblicarli e a ottenere notorietà, mentre Pockels rimase un’outsider per tutta la vita.
Le scienziate sposate, invece, vedevano spesso il proprio lavoro attribuito al marito. In alcuni casi, il matrimonio serviva addirittura a oscurare la loro carriera, come accadde a Ruth Hubbard, il cui contributo fu retroattivamente accreditato al marito, premio Nobel. Un altro esempio emblematico è quello di Gerty Cori, che condivise il Nobel nel 1947 con Carl Cori, sebbene molti ritenessero che fosse lei la vera mente brillante, mentre il merito andò principalmente a lui.

Una discriminazione sistemica
Rossiter amplia poi la discussione mostrando come l’esclusione delle donne nella scienza non sia solo un fenomeno individuale, ma abbia un andamento sistemico.
Fa alcuni esempi a riprova di ciò:
- L’esclusione delle donne dalle biografie scientifiche ufficiali
Nel 1906, il primo volume di American Men of Science includeva centinaia di donne, ma il titolo stesso cancellava la loro presenza. Nonostante le proteste, il titolo fu modificato solo nel 1971 in American Men and Women of Science.
- Le donne erano sistematicamente omesse dai dizionari biografici e dalle enciclopedie
McGraw-Hill Modern Men of Science (1966-68) includeva 426 scienziati, ma solo 9 donne nel primo volume e 2 nel secondo. Persino il prestigioso Dictionary of Scientific Biography (1970-80) conteneva solo 25 donne su 2000 scienziati, di cui molte astronome.
- Le ricerche sociologiche escludevano deliberatamente le donne
Nel libro The Making of a Scientist (1953), la psicologa Anne Roe escluse le donne dal suo studio sulle carriere scientifiche, sostenendo che erano troppo poche per essere rappresentative. Studi sociologici degli anni ‘50 e ‘60 raccoglievano dati sulle donne, ma poi le escludevano dalle analisi finali, falsando i risultati.
Un’indagine sugli scienziati americani (1952) trovò che solo il 2% dei PhD in scienze era femminile, ma invece di analizzare questa disparità, gli autori decisero di eliminare del tutto le donne dai loro calcoli.
- Anche studi più recenti minimizzavano il problema
Nel 1979, il sociologo Jonathan Cole pubblicò Fair Science, in cui tentava di dimostrare che la carriera delle donne nella scienza fosse equa. Usando statistiche superficiali, concluse che le donne pubblicavano meno e ricevevano meno citazioni semplicemente perché meno produttive, senza considerare i bias sistemici.
- Il pregiudizio non riguarda solo la scienza, ma tutta la cultura
Rossiter cita il libro How to Suppress Women’s Writing di Joanna Russ, che elenca le strategie con cui il contributo delle donne nella letteratura (e per estensione nella scienza) viene minimizzato:
“Non l’ha scritto lei”
“Lo ha scritto, ma aveva aiuto”
“Lo ha scritto, ma non è davvero importante”
“Lo ha scritto, ma è un’eccezione”
Rossiter sottolinea quindi come una cultura sistematica di esclusione delle donne influenza il modo in cui la scienza e la sua storia vengono raccontate. L’unico modo per cambiare questa tendenza è rivalutare il ruolo delle donne nella scienza, inserendole nelle narrazioni ufficiali e riconoscendo il loro contributo.
L’Effetto Matilda
La storica statunitense propone di dare un nuovo nome a questo fenomeno che riprende l’effetto Matteo ma che lo critica, lo amplia e lo supera. Decide di chiamarlo “Effetto Matilda“, in onore di Matilda Joslyn Gage, un’attivista femminista e suffragista americana del XIX secolo che ha criticato apertamente come le donne venissero escluse dai riconoscimenti ufficiali per il loro lavoro scientifico.

Rossiter suggerisce anche altri possibili nomi per il fenomeno, come “Effetto Lise” (in onore di Lise Meitner) o l'”Effetto Harriet” (per la collaboratrice invisibile di Robert K. Merton, Harriet Zuckerman), ma preferisce Matilda, poiché la sua vita e il suo lavoro incarnano a pieno il fenomeno della mancanza di riconoscimento per le donne.
Nelle conclusioni del paper, la studiosa ribadisce che l’Effetto Matilda non è solo un insieme di casi isolati, ma un fenomeno sistemico che ha caratterizzato la storia della scienza per secoli. Propone quindi di partire dalla definizione di “Effetto Matilda” per “ridefinire una storia della scienza e una sociologia della scienza che siano più eque e complete, che non escludano le “Matilda” ma che le mettano in evidenza“.
Trentadue anni dopo la pubblicazione del paper “The Matthew Matilda Effect” a che punto siamo?
Ancora oggi, l’Effetto Matilda continua a manifestarsi in ambito accademico e scientifico, e molte ricercatrici vedono il proprio lavoro sottovalutato o attribuito ad altri. Nonostante i progressi verso una maggiore equità di genere, il divario nei riconoscimenti persiste, rendendo fondamentale il lavoro di storici e sociologi della scienza per portare alla luce le storie dimenticate delle scienziate.
Riconoscere e contrastare questo fenomeno non significa solo rendere giustizia al passato, ma anche provare a costruire creare un futuro equo per tutt*.
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